Nella nostra professione
constatiamo frequentemente che parte della sofferenza della persona è
sostenuta dalla mancata comprensione di ciò che gli sta accadendo.
Affrontare gli impegni quotidiani dovendo fare i conti con attacchi
di panico imprevedibili e non sapere cosa sono quelle sensazioni
sgradevoli, né perché si presentano o quando e come si
risolveranno, alimenta uno stato interno di vulnerabilità
angosciosa. O ancora, oscillare senza una ragione apparente tra
periodi di iperproduttività, forte irritabilità o ansia e periodi
in cui alzarsi dal letto sembra un impresa titanica innesca un senso
di precarietà disperata.
Vivere stati dolorosi e non
riuscire a decifrarli è come percorrere un campo minato con gli
occhi bendati, un esperienza paralizzante. Sapere restituisce
significato e valore a ciò che ci sta accadendo. Sapere placa
l’angoscia dell’ignoto. Sapere è conditio sine qua non per poter
padroneggiare ciò che ci sta accadendo e prevedere ciò che potrebbe
accaderci, recuperando un senso di autoefficacia personale.
Il lavoro dei
nostri professionisti si fonda saldamente sulla convinzione che
informare il paziente
sul proprio disturbo è prerequisito fondamentale per la buona
efficacia del percorso di cura. Sente la possibilità di un
confronto aperto su ciò che sta vivendo. Scopre che la sua
esperienza corrisponde a un quadro sintomatologico ben definito e
clinicamente noto. Comprende che proprio perché approfonditamente
studiato quel quadro clinico ha anche delle possibilità di cura.
Scopre che nella sua esperienza non è solo, ma che in molte altre
parti del mondo esattamente nello stesso momento milioni di altre
persone stanno vivendo la sua stessa esperienza dolorosa.
Il paziente “psicoeducato”
al suo disturbo diviene così attore
partecipe e
collaborativo
nella gestione della terapia.
Sviluppata negli anni ottanta
nell’ambito dei programmi di trattamento della schizofrenia, la
psicoeducazione ha subìto nel tempo una serie di adattamenti che
l’hanno resa efficace in
ogni fase del ciclo di vita e per
molti altri disturbi, come:
i disturbi d’ansia e il disagio psicologico
il disturbo bipolare
la depressione
i disturbi di personalità,
il disturbo acuto da stress e il disturbo post traumatico da stress complesso.
Peraltro, la sua utilità nel favorire l’accettazione della diagnosi e la gestione delle sue manifestazioni sintomatologiche è sostenuta da una discreta mole di letteratura scientifica.
Sempre attenti a ciò che è
meglio per i nostri assistiti, diamo
alla psicoeducazione uno spazio importante nell’ambito delle
terapie individuali, nelle fasi iniziali così come durante tutto il
trattamento, ma anche in percorsi di gruppo specifici per alcuni
disturbi avvalendoci di protocolli strutturati.
Nelle terapie individuali così
come nei percorsi di gruppo forniamo una adeguata e approfondita
informazione sul disturbo diagnosticato, sulla sintomatologia che lo
caratterizza, sul decorso, sulla prognosi, sulle possibilità di
trattamento (psicologiche, psicosociali e farmacologiche) e di
gestione. Questo solitamente si traduce in una
solida alleanza terapeutica e in una migliore compliance.
Gli incontri di gruppo poi facilitano l’aiuto reciproco tra i
pazienti accrescendo la loro rete sociale dei pazienti ma sopratutto
contribuiscono a ridurre lo stigma
sociale risolvendo il senso di solitudine della persona.
Sono attivi i Percorsi
di gruppo per i Disturbi d’Ansia con Attacchi di Panico
e i Percorsi
di Psicoeducazione sul Disturbo Bipolare.
Poiché i famigliari della
persona affetta da un disturbo psichico sono direttamente
coinvolti nella sintomatologia del loro caro, riteniamo innegabile
che possano costituire anche una risorsa importante nel percorso di
cura, se opportunamente sostenuti e psicoeducati.
La famiglia sperimenta spesso
un gravoso carico assistenziale ed emotivo scontrandosi
quotidianamente con tutta una serie di comportamenti disturbati del
proprio congiunto, tanto diversi rispetto al passato. Le reazioni
possono essere la critica verso questi comportamenti oppure la
negazione del disturbo (con il conseguente ritardo nella ricerca di
un aiuto specialistico) o ancora un atteggiamento iperprotettivo.
Queste sono le dimensioni che definiscono il concetto di Emotività
Espressa (EE).
L’Emotività Espressa è
stata definita anche come l’indice della temperatura
emotiva
nell’ambiente famigliare: essenzialmente un indicatore della
presenza di fattori di rischio, come la critica, l’ostilità o
l’ipercoinvolgimento emotivo; oppure di fattori di protezione, come
il calore affettivo e i commenti positivi. Sulla base della presenza
di indicatori di rischio o di protezione, i famigliari dei pazienti
possono essere inquadrati come ad alta o a bassa Emotività Espressa:
-Alta EE: considerano il
paziente responsabile dei suoi comportamenti, anche di quelli che
chiaramente rappresentano dei sintomi; nutrono aspettative molto
elevate per il paziente indipendentemente dai deficit di cui è
portatore; spesso drammatizzano le proprie reazioni ai sintomi e
tendono ad avere modalità di risposta rigide ai momenti di crisi.
-Bassa EE: trovano una
spiegazione razionale dei comportamenti del paziente, riconoscendo
quelli dettati dalla malattia; nutrono aspettative realistiche verso
il paziente tollerando meglio livelli di funzionamento anche molto
bassi; sono in grado di controllare la propria emotività e di dare
risposte flessibili.
Alcuni studi mettono in
evidenza che se la famiglia è caratterizzata da alta EE, il paziente
avrà maggiori probabilità di ricadere nella sintomatologia tipica
del suo disturbo. Al contrario, una famiglia con un basso livello di
EE sarà maggiormente in grado di comprendere i bisogni del paziente
fronteggiando adeguatamente i momenti critici.
Purtroppo, troppo spesso la
famiglia è logorata dalle richieste e dalle esigenze del loro
congiunto, e tende a mettere in atto modalità espulsive nei suoi
confronti. Se adeguatamente stimolata e pscicoeducata,
genitori, fratelli,
coniugi e figli possono invece imparare a ridurre lo stress presente
nella loro famiglia e rivelarsi una risorsa preziosa nel percorso di
cura del loro congiunto.
Queste sono le principali
considerazioni che ci hanno spinto
a introdurre interventi psicoeducativi rivolti alle famiglie dei
nostri assistiti. In questo caso gli incontri, monofamilliari o di
gruppo, sono tesi a migliorare la conoscenza di tutti i familiari del
disturbo di cui soffre il paziente e del suo trattamento; dare
informazioni su cosa fare e cosa non fare di fronte ai comportamenti
disturbanti o alle richieste incalzanti; ridurre il carico emotivo
familiare, attivare una rete sociale al fine di evitare l’isolamento.
Nella nostra esperienza gli
interventi psicoeuducativi alla famiglia producono anche un
apprezzabile miglioramento nella qualità della relazione tra il
paziente e i suoi famigliari. La famiglia inizia a comunicare
costruttivamente e a risolvere insieme i problemi in un clima emotivo
improntato alla collaborazione.
Sono attivi i Percorsi
di Psicoeducazione per le famiglie di pazienti con Disturbo Bipolare.