“Eliana è una casalinga di 47 anni, coniugata e madre di due figlie adolescenti. Si rivolge al clinico per la fobia dell’aereo, incalzata dai familiari desiderosi di fare un lungo viaggio in Europa.
Sin dal primo colloquio Eliana colloca l’inizio di tutto all’età di 27 anni, quando al telegiornale apprese la notizia di un disastro aereo: “Ricordo lo sgomento e il terrore, fu come se dentro quel volo ci fossi stata io. Mi identificai completamente nella situazione, anche perché poche settimane più tardi saremmo dovuti partire con mio marito per il nostro viaggio di nozze affrontando 12 ore di volo”, e ancora: “Ricordo che litigammo moltissimo con mio marito perché io volevo rinunciare al viaggio. Poi lui fu molto comprensivo e mi stette vicino sostenendomi e convincendomi ad affrontare la cosa. Il volo fu una tragedia, perché ci furono molti vuoti d’aria. Uno di questi fu particolarmente importante e ricordo il cuore a martello, il sudore, il tremore e l’agitazione e … insomma dottore, il panico! Pensavo di morire, senza poter scappare, senza potermi salvare!”.
Riferisce di “essere terrorizzata” alla sola idea di salire su un aereo al punto che, qualsiasi cosa la riporti col pensiero alla situazione (es, entrare in aeroporto o ascoltare il racconto di altre persone relativo a viaggi in aereo) suscita in lei un forte malessere fisico.
Racconta anche di convivere da ormai vent’anni con questa fobia, e che la stessa non avrebbe costituito un problema perché semplicemente evitata. Una rinuncia però troppo importante che, nel tempo, ha limita la possibilità di piacevoli vacanze insieme per l’intero nucleo familiare.
Emerge nel corso dei colloqui che ad essere evitato non è soltanto l’aereo ma anche gli altri mezzi di trasporto come la nave, il traghetto e il treno. Utilizza la macchina ma vive con sofferenza gli spostamenti su lunghe distanze. La sua preoccupazione principale è quella di trovarsi in una situazione difficile (pericolosa) e di non poter controllare né la situazione né la sua reazione.”
Nella fobia specifica l’individuo vive uno stato di ansia intensa e grave per qualcosa (oggetti e situazioni circoscritti) che non rappresenta una reale minaccia e con cui gli altri si confrontano sistematicamente senza esperire un particolare disagio.
L’oggetto o la situazione specifici rappresentano lo stimolo fobico. Alcune persone hanno una fobia specifica per un unico stimolo (es, gli scarafaggi), molte altre temono oggetti o situazioni appartenenti a più di una categoria (ad es., i ragni, l’acqua e l’aereo).
L’intensità dell’ansia vissuta può variare in funzione di alcuni fattori – quali la prossimità all’oggetto o alla situazione fobica, la presenza di altri, la durata dell’esposizione e altri elementi minacciosi (es. la turbolenza su un volo per individui che hanno paura di volare) – e può prendere la forma di un attacco di panico con tutti o solo alcuni dei sintomi tipici.
In questo disturbo non è presente un’ideazione cognitiva specifica, come avviene in altri disturbi d’ansia. Tuttavia la reazione che la persona ha quando si espone allo stimolo fobico è irrazionale, sproporzionata e per questo incontrollata.
A freddo chi ne soffre mantiene la capacità critica che gli permette di riconoscere il carattere irragionevole della propria reazione ma a caldo, quando cioè si trova in presenza dello stimolo l’ansia lo orienta verso una sovrastima del pericolo percepito, non riuscendo così a controllarsi.
Solitamente l’ansia esperita spinge ad evitare la situazione fobica. Alcune persone scelgono attivamente di modificare le loro abitudini di vita in modo da evitare il più possibile lo stimolo fobico, e per questo non vivono più l’ansia nella vita quotidiana. Chi ha la fobia dell’aereo, per esempio, rinuncia a piacevoli vacanze con la famiglia lontano da casa; chi ha la fobia degli aghi e delle siringhe può rinunciare a controlli medici necessari; chi ha una claustrofobia rinuncia a spostamenti in ambienti ristretti, come un locale di ristorazione, rinunciando alla compagnia serale degli amici.
Va però osservato che l’evitamento, sebbene riduca sul momento gli effetti della fobia, rappresenta una trappola dannosa: ogni evitamento, infatti, conferma la pericolosità della situazione evitata e prepara l’evitamento successivo. Questo circolo vizioso contribuisce a stabilizzare la fobia nella persona, facendogli patire il prezzo delle limitazioni nella routine quotidiana.
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) propone una classificazione delle comuni fobie specifiche:
-tipo animali: fobia dei ragni (aracnofobia), fobia degli uccelli o fobia dei piccioni (ornitofobia), fobia degli insetti, fobia dei cani (cinofobia), fobia dei gatti (ailurofobia), fobia dei topi, ecc;
-tipo ambiente naturale: fobia dei temporali (brontofobia), fobia delle altezze (acrofobia), fobia del buio (scotofobia), fobia dell’acqua (idrofobia), ecc;
-tipo sangue-iniezioni-ferite: fobia del sangue (emofobia), fobia degli aghi, fobia delle siringhe, ecc. Chi ne soffre ha una risposta lipotimica vasovagale alla vista di sangue, caratterizzata da una breve accelerazione iniziale della frequenza cardiaca con aumento della pressione sanguigna, seguita da una decelerazione del battito cardiaco e da una caduta della pressione sanguigna;
-tipo situazionale: nei casi in cui l’ansia è provocata da una situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare (aviofobia), guidare, oppure luoghi chiusi (claustrofobia o agorafobia);
-altro tipo: nel caso in cui la reazione d’ansia è scatenata da altri stimoli come: il timore o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare o contrarre una malattia (vedi anche disturbo ossessivo-compulsivo e ipocondria), ecc. Una forma particolare di fobia riguarda il proprio corpo o una parte di esso, che la persona vede come orrende, inguardabili, ripugnanti (dismorfofobia).
L’esordio, la prevalenza e il decorso
L’età tipica in cui compare il disturbo varia tra le diverse fobie. La differenza più evidente si ha tra la claustrofobia e le altre forme di fobie. La claustrofobia tende a svilupparsi dopo l’adolescenza (a 20 anni), le altre prima o durante l’adolescenza. Le fobie verso gli animali si sviluppano intorno ai 7 anni, quella del sangue intorno ai 9 e quella del dentista ai 12 anni di età.
Nella pratica clinica si osserva che le fobie specifiche situazionali tendono ad avere un’età di esordio tardiva rispetto alle fobie specifiche per l’ambiente naturale, gli animali o il sangue-iniezioni-ferite.
La prevalenza stimata per la Fobia Specifica è di circa il 6% nella popolazione generale. I dati variano nelle diverse fasi del ciclo di vita, della situazione temuta e della cultura. In linea di massima si stima un tasso di circa il 5% nei bambini e del 16% negli adolescenti, mentre si riducono significativamente nei soggetti più anziani (3-5%). Le donne sono più colpite degli uomini, con un rapporto 2:1, e piccole differenze a seconda dei diversi stimoli fobici.
Le fobie specifiche che si sviluppano nell’infanzia e nell’adolescenza in genere hanno un andamento intermittente durante quel periodo, con fasi di remissione che si alternano ad altre di riacutizzazione. Le fobie che persistono fino all’età adulta hanno scarsa probabilità di andare incontro a remissione.
Le cause
Almeno tre fattori sembrano concorrere all’insorgenza delle Fobie Specifiche:
– fattori genetici e fisiologici: sembra esserci una suscettibilità genetica per la gran parte delle fobie specifiche. E’ stato osservato infatti che chi ha famigliari di primo grado che soffrono di una fobia specifica per gli animali ha maggiore probabilità di avere la stessa fobia. Nel caso della fobia per sangue-iniezioni-ferite è stato osservato che chi ne soffre ha una propensione unica per la sincope vaso-vagale (svenimento) in presenza dello stimolo fobico;
– fattori temperamentali: un’affettività negativa (nevroticismo) o l’inibizione comportamentale rappresentano fattori predisponenti, come in altri disturbi d’ansia;
– fattori ambientali: fattori di rischio ambientali possono presentarsi in qualsiasi momento della vita di un individuo determinando l’esordio del disturbo nell’infanzia, così come in età adulta. Sono annoverati tra i fattori ambientali esperienze negative o traumatica con l’oggetto o la situazione temuti (per es., esser attaccati da un animale o rimanere bloccati in un ascensore), o la comparsa di un attacco di panico inatteso nella situazione che da quel momento diventerà fobica (per es., un attacco di panico inatteso al centro commerciale) o, ancora, condizionamenti ambientali, come la trasmissione di informazioni allarmistiche (si pensi ad esempio alla risonanza mediatica di un disastro aereo).
Le teorie più accreditate spiegano l’interazione tra questi fattori nel modo seguente: l’organismo associa involontariamente pericolosità ad un oggetto o situazione specifiche, anche in condizioni oggettivamente non più pericolose, secondo un meccanismo di apprendimento (condizionamento classico) che si mantiene inalterato nel tempo a causa dell’evitamento fobico. Questo avviene con maggiore probabilità in persone biologicamente predisposte e con una vulnerabilità psicologica di base (nevroticismo).
La valutazione
La raccolta iniziale delle valutazioni cognitive e comportamentali fornisce al clinico informazioni importanti per il trattamento e permette di monitorare i progressi verso l’obiettivo: risolvere la Fobia Specifica. Essa si articola nei momenti di:
– valutazione psicodiagnostica: si avvale dell’impiego di una batteria di questionari auto ed etero somministrati;
– valutazione clinica: comprende l’esame dettagliato delle fobie specifiche (tipo, esordio e decorso), della loro gravità e dell’impatto che hanno sulla vita e sulle relazioni della persona;
– valutazione cognitiva e comportamentale: include l’analisi del comportamento fobico e delle sue conseguenze, della risposta ansiosa, degli antecedenti all’ansia e dell’evitamento associato;
La cura
La terapia della Fobia Specifica prevede un intervento combinato di tipo psicoterapeutico e farmacologico. La prima insegna la persona a padroneggiare lo stato emotivo prima e durante l’esposizione allo stimolo fobico, modificando in modo sostanziale il legame associativo tra stimolo e ansia. Mentre il trattamento farmacologico rappresenta una soluzione a breve termine per controllare l’ansia episodica.
La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
La Fobia Specifica rappresenta un forte limite per la persona che ne soffre ma il suo trattamento è semplice e, se non complicato da altri disturbi psicologici, anche di breve durata. Il trattamento cognitivo comportamentale si svolge sostanzialmente in due fasi: nella prima fase si insegnano le strategie di gestione dell’ansia, nella seconda si procede con l’esposizione graduale alle situazioni temute.
Nella prima fase il terapeuta educa la persona alla natura dell’ansia, gli insegna il controllo dell’iperventilazione e una serie di tecniche di rilassamento fisiologico su cui dovrà esercitarsi nello spazio tra una seduta e l’altra. Procede poi con l’addestramento al pensiero funzionale, cioè la ridefinizione e la rivalutazione delle situazioni temute, propedeutica all’esposizione.
Una volta insegnate le abilità, il terapeuta si avvia alla seconda fase del trattamento che è anche la componente centrale del percorso di cura: l’esposizione graduale agli stimoli temuti.
L’esposizione graduale può essere immaginativa o in vivo. L’esposizione in vivo è probabilmente più efficace di quella immaginativa, ma entrambe possono ridurre le preoccupazioni di tipo fobico, esponendo la persona allo stimolo che suscita ansia in assenza delle conseguenze temute.
Nell’esposizione in vivo ci si avvale di esercizi di esposizione organizzati in una gerarchia di difficoltà crescente: ogni prova viene affrontata quando rappresenta una sfida sostenibile per la persona. In ogni esercizio, il contatto con lo stimolo viene mantenuto finché non subentra inevitabilmente l’abitudine ed esso non suscita più ansia. L’esercizio viene ripetuto più volte e a distanza di tempo ravvicinata fino a quando non diventa “neutro”, e allora si passa all’esercizio successivo. Prima, durante e dopo l’esposizione si chiede alla persona di utilizzare le tecniche di rilassamento in modo da favorire un nuovo apprendimento, in cui la mente e il corpo associano rilassamento, anziché ansia, agli stimoli fobici.
Nell’esposizione immaginativa (o desensibilizzazione sistematica) si costruisce una gerarchia e una presentazione graduata di scene immaginarie. La persona si espone gradualmente nell’immaginazione a situazioni che gli incutono paura usando nel contempo le tecniche di rilassamento per contenere l’ansia.
Nel caso della Fobia da sangue e ferite vengono solitamente presi alcuni accorgimenti nell’applicazione di queste tecniche. Le persone con Fobie Specifiche durante l’esposizione mostrano un’attivazione del sistema nervoso simpatico sotto forma di attacco o fuga. Qualcosa di diverso accade invece nei casi di Fobia da sangue e ferite. Si stima infatti che l’80% di queste persone mostra un’attivazione iniziale del sistema simpatico seguita da un rapido passaggio a quella del sistema parasimpatico. La conseguente diminuzione della frequenza cardiaca e l’abbassamento della pressione arteriosa possono causare uno svenimento (o sincope vaso-vagale). Per questa ragione il clinico fa sdraiare il paziente e lo addestra a contrarre diversi gruppi muscolari ai primi segnali di sincope, durante il trattamento basato sull’esposizione. È stato infatti osservato in alcuni ricerche scientifiche che la contrazione aumenta il flusso di sangue cerebrale.
Chi ha una Fobia Specifica e accede a un percorso di terapia cognitivo comportamentale è solitamente molto impaurito dall’esposizione graduale, ma è bene rimarcare che se ben effettuata è assolutamente “indolore” ed efficace. Dati di ricerca indicano un successo del 90-95% dei casi.
La Farmacoterapia
A differenza di altri Disturbi d’Ansia, le Fobie Specifiche non sembrano trarre un beneficio prolungato dalla terapia farmacologica. In questi casi, soprattutto nelle forme in cui l’esposizione allo stimolo avviene raramente, si può optare per l’uso di un farmaco sintomatico, quale una benzodiazepina. Questo facilita l’esposizione, riducendo l’ansia soggettiva, ma al contempo può bloccare i processi coinvolti nell’estinzione della risposta o nell’elaborazione emotiva. Pertanto il trattamento d’elezione rimane la psicoterapia.
Riferimenti
Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. DSM-5. APA (2014). Raffaello Cortina Editore.
Trattamento dei disturbi d’ansia. Guide per il clinico e manuale per chi soffre del disturbo. G.Andrews, M.Creamer, R.Crino, C.Hunt, L.Lampe, A.Page (2003). Centro Scientifico Editore.
I protocolli clinici della terapia cognitivo-comportamentale. Carmelo La Mela (2016). Maddali e Bruni.
Letture consigliate
Ansia e paure. Comprenderle, affrontarle e dominarle. I.M. Marks. Milano: McGraw-Hill (2002)
L’autoterapia razionale emotiva. A.Ellis. Edizioni Erickson (1993)
Penso dunque mi sento meglio. D.Greenberg, C.Padesky. Edizioni Erickson (1998)
Al termine dello stress. D.Meichenbaum. Edizioni Erickson (1990).
Siti Internet consigliati
CETRADA – Centro Trattamento Disturbi d’Ansia: http://www.cetrada.it
ECOMIND – Salute Mentale, Autoaiuto e Sviluppo personale: https://ecomind.online/
LIDAP – Lega Italiana Disturbo attacchi di Panico: http://www.lidap.it