“Erica è una donna di 43 anni, infermiera, da circa un anno e mezzo ha ottenuto il trasferimento in un nuovo ospedale. Si presenta ai primi colloqui accompagnata dalla madre, in uno stato d’ansia intensa. Riferisce frequenti attacchi di panico che la disarmano. Ricorda con dovizia di dettagli il primo, avvenuto 1 anno prima, mentre si recava in auto in ospedale per il turno della notte.
Ero apparentemente spensierata, quando d’improvviso ho sentito la tachicardia e un dolore forte al petto, sudavo, la vista che mi si è annebbiata, le braccia deboli … mi sono aggrappata al volante e ho accostato … sono rimasta ferma sul ciglio della strada con l’idea di avere un infarto in corso. Ho chiamato la collega a cui dovevo dare il cambio. Mi ha confortato mentre mio marito mi veniva a prendere. Mi ha accompagnato in ospedale dove poi i colleghi mi hanno fatto alcuni accertamenti, assicurandomi alla fine che il mio cuore stava bene. Dopo pochi giorni si è presentato il secondo episodio … sempre in macchina, e così altri, al punto che adesso non riesco più a spostarmi se non ho qualcuno accanto a me ”.
Erica lamenta una vita insoddisfacente, in cui dipende completamente dalla disponibilità della madre o del marito a starle accanto per il timore persistente che un nuovo attacco di panico possa sopraggiungere.”
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-5) definisce il Disturbo di Panico come una condizione caratterizzata da ricorrenti attacchi di panico inaspettati.
L’attacco di panico viene descritto come la comparsa improvvisa di uno stato di ansia che raggiunge rapidamente l’apice e si consuma in pochi minuti. Per poter parlare di attacco di panico è necessario che si presentino, in modo concomitante, almeno 4 dei 13 sintomi elencati di seguito:
1. Tremori fini o a grandi scosse;
2. Dispnea o sensazione di soffocamento (descritta anche come: “Sensazione di mancanza d’aria o di soffocamento, sensazione di asfissia, stretta o nodo alla gola”);
3. Sensazione di asfissia;
4. Dolore o fastidio al petto;
5. Nausea o disturbi addominali;
6. Sensazioni di vertigine, d’instabilità, di “testa leggera” o di svenimento (o anche riferite: “Sensazioni di sbandamento, capogiri, debolezza alle gambe, o ancora visione annebbiata, confusione mentale);
7. Brividi o vampate di calore;
8. Parestesie (o anche “Sensazioni di intorpidimento e formicolio”);
9. Derealizzazione (percezione del mondo esterno come strano e irreale, sensazioni di stordimento e distacco, ad es. “la sensazione che ciò che vediamo, o che comunque
percepiamo, non sia reale”);
10. Paura di perdere il controllo o di “impazzire” (ad esempio, “la paura di fare qualcosa di imbarazzante in pubblico o di perdere la calma fuggendo; o di essere emotivamente
deboli e instabili”);
11. Paura di morire
12. Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia (condizione solitamente descritta con le espressioni: “battiti irregolari, pesanti, agitazione nel petto, sentirsi il battito in gola”);
13. Sudorazione accentuata.
Quando invece gli attacchi di panico sono caratterizzati da una manifestazione più lieve per sintomatologia (meno di 4 dei sintomi descritti) e intensità si parla di attacchi paucisintomatici. La maggior parte delle persone con attacco di panico paucisintomatico, tuttavia, ha avuto attacchi di panico completi, con tutto il corredo sintomatologico classico, nel corso del disturbo.
Si distinguono due tipi di attacchi di panico: attesi o situazionali e inaspettati. Gli attacchi di panico attesi sono quelli attribuibili a un trigger attivante a cui la persona si è sensibilizzata nel tempo, come situazioni o luoghi.
Gli attacchi di panico inaspettati sono quelli in cui non vi sono evidenti trigger al momento della comparsa dell’attacco, ad esempio mentre si è rilassati. L’attacco di panico notturno è un altro esempio tipico di attacco inaspettato. Capita spesso nella pratica clinica di accogliere lo sgomento e l’impotenza della persona che riferisce questa esperienza. In molti concepiscono il sonno come un interruttore di spegnimento di qualsiasi sofferenza emotiva. Alcuni teorici cognitivi spiegano che il processo cognitivo non è sempre conscio. Poiché la persona ha trascorso molte ore durante la veglia a preoccuparsi di alcune sensazioni somatiche (“interpretandole come pericolose”), quando queste si presentano durante il sonno la persona reagirebbe con una risposta di panico.
Nel Disturbo di Panico la frequenza e la gravità dei sintomi degli attacchi può variare nel corso del tempo e delle circostanze: alcune persone ad esempio, riferiscono attacchi di panico frequenti nel corso dei mesi; altre riferiscono la comparsa di attacchi più frequenti ma per brevi periodi, intervallati da settimane o mesi di assenza del sintomo.
Dopo i primi episodi compare la paura che si possa verificare un altro attacco o le sue conseguenze. Possiamo definire questa preoccupazione ansia anticipatoria. Quest’ultima solitamente cresce quando la persona deve affrontare situazioni in cui si sono verificati i primi attacchi di panico. Si insinua così la tendenza ad evitare le situazioni considerate “a rischio di attacco di panico”, come ad esempio le situazioni o i luoghi in cui si sono già verificati.
Quando la persona non può sottrarsi alla situazione o al luogo mette in atto “comportamenti protettivi” tesi a proteggersi dalla comparsa dell’attacco di panico. Esempi di comportamento protettivo possono essere:
-non compiere sforzi fisici;
-portare con sé farmaci per calmare l’ansia;
-allontanarsi da casa solo se accompagnati da un familiare o da un amico;
-tenere sempre sotto controllo la possibile via di fuga;
-accertarsi sempre della presenza di ospedali nelle immediate vicinanze durante spostamenti e viaggi.
Il singolo episodio, quindi, sfocia facilmente in un vero e proprio disturbo di panico. La persona si trova rapidamente invischiata in un circolo vizioso estenuante per il quale la “paura della paura” (ovvero l’ansia anticipatoria) alimenta meccanismi di evitamento che rafforzano un senso di inefficacia personale e uno stato di allerta costante.
Le conseguenze negative sulla vita della persona e dei propri familiari (per esempio per le numerose richieste della persona affetta dal disturbo) sono importanti: la persona resta sospesa in un difficile equilibrio tra il bisogno di protezione e il bisogno di autonomia. Nel primo caso la protezione dei familiari “prescelti” rappresenta il rischio di sentirsi soffocati, nel secondo caso la rinuncia a questa protezione espone al rischio di perdere la relazione stessa e di sentirsi soli e in pericolo. Quasi invariabilmente la persona sceglie relazioni che privilegiano la vicinanza fisica, anche se questo implica il sacrificio della propria autonomia e della qualità della vita sociale e lavorativa. È con tale storia che più spesso le persone arrivano allo specialista.
L’esordio, la prevalenza e il decorso
Il Disturbo di Panico rappresenta una condizione clinica molto diffusa e particolarmente invalidante.
L’età media di esordio si colloca tra i 20-24 anni di età. Solo un numero esiguo di casi inizia nell’infanzia e i dati di prevalenza complessiva prima dei 14 anni sono fortunatamente piuttosto bassi (<0,4%).
I tassi di prevalenza crescono nell’adolescenza e raggiungono il picco durante l’età adulta. Stime recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che ne soffre il 2-3% della popolazione generale, adolescenti e adulti, con una maggiore prevalenza nelle donne.
L’esordio dopo i 45 anni di età sembra insolito, sebbene possibile.
I tassi di prevalenza sembrano invece ridimensionarsi negli individui più anziani (età superiore ai 64 anni), cosa che forse trova spiegazione nella riduzione della risposta del sistema nervoso autonomo in questa fascia d’età.
Difficilmente questo disturbo può risolversi spontaneamente. Ha piuttosto un andamento cronico e ingravescente, in cui periodi di remissione si alternano a periodi di riacutizzazione, comportando una graduale compromissione della qualità di vita della persona.
Le cause
Secondo gli studi pubblicati fino ad oggi non sarebbe possibile risalire a una causa univoca del disturbo. Piuttosto, diversi fattori di rischio concorrerebbero all’insorgenza del Disturbo di Panico. In questo insieme sono inclusi:
-fattori genetici e fisiologici: si pensa che alcuni geni specifici possano conferire una vulnerabilità di base per il disturbo di panico. Va però precisato che le regioni genetiche implicate e le funzioni ad esse legate rimangono a tutt’oggi sconosciute;
-fattori temperamentali: uno stile di pensiero catastrofico accompagnato da affettività negativa (nevroticismo) sembrano predisporre le persone a interpretare come pericolosi per la propria integrità fisica e/o mentale alcune sensazioni somatiche normali (come per es. l’accelerazione del battito cardiaco, vertigini, nausea, ecc.);
-fattori ambientali, quali situazioni stressanti fisiche (es. mancanza di sonno, uso di sostanze stupefacenti) e psicologiche (es. cambiamenti positivi come il matrimonio o la convivenza, problemi finanziari o lavorativi, conflitti interpersonali, la perdita o la malattia di una persona significativa, esperienze traumatiche) fungono da fattori precipitanti la comparsa del corredo sintomatologico.
“Emma riferisce che poche settimane dopo i primi attacchi di panico ha iniziato a evitare di allontanarsi dalla sua confort zone: ha smesso di guidare da sola, sia per brevi che per lunghe distanze. Il grado di familiarità del percorso per lei non fa più alcuna differenza. Troppo intensa la paura di sentirsi male alla guida senza possibilità di fermarsi e tornare indietro o recarsi al più vicino ospedale. Costituiscono un problema anche gli spostamenti sui mezzi pubblici, in cui a fare da padrona è l’idea di sentirsi male e di non riuscire a scendere dal mezzo perché intrappolata tra la gente.
Si sente al sicuro soltanto col marito e con la madre, che alternativamente l’accompagnano al lavoro e anche agli incontri col terapeuta, restando queste le due uniche occasioni per uscire da casa. Ha ormai da mesi ristretto enormemente le attività di vita quotidiana, rinunciando agli allenamenti in palestra, alle passeggiate per i negozi con le amiche, ai centri commerciali da sola o coi familiari. Riferisce di stare bene soltanto a casa sua, d’altro canto qualsiasi tentativo di esporsi anche per brevi periodi a queste situazioni si è tradotto nella ricomparsa di un forte malessere.”
Talvolta il Disturbo di Panico si presenta assieme all’Agorafobia. Sebbene l’etimologia del termine orienti verso la paura degli spazi aperti (dal greco αγορά: piazza e φοβία: paura), in ambito clinico il termine Agorafobia è riferito all’ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto nel caso si presentino sintomi simili al panico.
In passato si pensava fosse una diretta conseguenza del Disturbo di Panico. Più di recente è stata classificata nel DSM-5 come categoria a sé stante. Secondo gli attuali criteri diagnostici si parla di Agorafobia quando si presenta un ansia marcata in 2 (o più) delle seguenti situazioni:
-mezzi di trasporto pubblico (automobile, taxi, autobus, treni, navi, aerei);
-trovarsi in spazi aperti (parcheggi, mercati o ponti);
-trovarsi in spazi chiusi (ascensore, negozi, teatri o cinema);
-stare in fila oppure tra la folla;
-stare da soli fuori casa.
Mentre nel Disturbo di Panico l’attenzione della persona che ne soffre è selettivamente focalizzata sui sintomi fisici e sul timore di gravi conseguenze (per esempio morire, impazzire, perdere il controllo), nell’Agorafobia è centrale il pensiero di “non potersi allontanare dalla circostanza percepita come pericolosa”, o di “non ricevere un valido aiuto nel caso in cui si presentino i sintomi tipo panico o altri sintomi imbarazzanti (per es., incontinenza)”.
Se le manifestazioni cliniche dell’Agorafobia si conservano nell’arco della vita della persona, le circostanze che fungono da trigger per l’ansia possono variare.
Quando la persona entra in contatto con la situazione temuta l’ansia si manifesta invariabilmente. La sua intensità può variare in base alla prossimità della situazione temuta e può verificarsi in previsione oppure durante l’esposizione alla situazione agorafobica.
La persona evita attivamente la situazione oppure, se non è in grado di evitarla o decide di affrontarla, richiede la presenza di un accompagnatore rassicurante. In alcuni casi la gravità del disturbo può diventare tale da inabilitare completamente la persona ad uscire di casa per recarsi al lavoro o svolgere le normali attività di vita quotidiana (ad esempio fare la spesa o accompagnare i figli a scuola).
L’esordio, la prevalenza e il decorso
L’età di esordio dell’Agorafobia si colloca solitamente intorno ai 18-20 anni. Il primo esordio in età infantile è raro, mentre il rischio di incidenza in adolescenza e nella prima età adulta aumenta.
Si stima che ogni anno l’1,7% della popolazione generale, adolescenti e adulti, riceve una diagnosi di Agorafobia. Le donne hanno una maggiore possibilità di soffrirne rispetto agli uomini.
L’Agorafobia ha un decorso solitamente cronico e gravemente invalidante. La remissione completa è rara (10%) se non viene adeguatamente trattato. Peraltro, è stato osservato che il decorso a lungo termine dell’agorafobia si associa a un rischio elevato di depressione e abuso di sostanze.
Le cause
Ad oggi l’insorgenza dell’Agorafobia è attribuita a una complessa interazione di fattori biologici, psicologici e ambientali:
-fattori genetici e fisiologici: l’agorafobia sembra avere una forte associazione con il fattore genetico (61%) che assolverebbe quindi una funzione predisponente;
-fattori temperamentali: inibizione comportamentale, affettività negativa (nevroticismo) e sensibilità all’ansia (cioè, la tendenza a credere che i sintomi dell’ansia siano pericolosi) sembrano strettamente associati allo sviluppo dell’agorafobia;
-fattori ambientali, come esperienze stressanti (di natura fisica o psicologica) o un clima familiare iperprotettivo e ansioso si associano comunemente all’insorgenza del disturbo.
La valutazione
La diagnosi e la cura del Disturbo di Panico e dell’Agorafobia presuppongono che il medico di medicina generale abbia già escluso alcune patologie fisiche. Tra queste ad esempio l’ipoglicemia, l’ipertiroidismo, la sindrome di Cushing, il feocromocitoma, i disturbi vestibolari e la sindrome da prolasso della valvola mitrale, l’assunzione di sostanze (alcool, droghe da strada, caffeina etc.).
Premessa doverosa di un intervento psicoterapeutico efficace è una valutazione clinica iniziale fatta a regola d’arte.
La valutazione del Disturbo di Panico e dell’Agorafobia deve comprendere:
-valutazione psicodiagnostica: si avvale dell’impiego di una batteria di questionari auto ed etero somministrati;
-valutazione clinica: comprende l’analisi dettagliata degli attacchi di panico (esordio, fattori scatenanti, frequenza e intensità);
-valutazione cognitiva e comportamentale: include l’esplorazione dei pensieri e delle interpretazioni che precedono, accompagnano e seguono gli attacchi di panico, la ricostruzione dei comportamenti protettivi e degli evitamenti messi in atto, e l’identificazione dei legami a livello cognitivo fra attacchi di panico ed evitamento;
-valutazione personologica: consiste nella raccolta di informazioni sulle esperienze di vita dolorose che hanno contribuito allo sviluppo di una personalità vulnerabile, e nella individuazione delle strategie maladattive attuate per evitare di rivivere certe esperienze.
La cura
Il primo passo verso la cura è quello di riconoscere e accettare di avere un problema di natura psichica per poi affidarsi a una figura competente. Scegliere a chi affidarsi non è sempre così immediato. E una volta scelto il professionista, saranno la motivazione alla guarigione e l’impegno reciproco verso il cambiamento gli ingredienti fondamentali per un percorso efficace.
La terapia prevede un approccio integrato, con interventi di psicoterapia cognitivo comportamentale e di farmacoloterapia.
La psicoterapia cognitivo comportamentale può essere applicata individualmente o in gruppo (vedi gruppo attacchi di panico). Il percorso di gruppo ha indubbiamente alcuni vantaggi:
-offre ai partecipanti l’occasione di condividere le proprie esperienze con altre persone che vivono situazioni simili;
-permette ai partecipanti di ridimensionare il disagio e risolvere il vissuto soggettivo di “essere anormale”.
Entrambi gli interventi, individuale e di gruppo, sono orientati a garantire alla persona il controllo degli attacchi di panico, la riduzione fino alla risoluzione degli evitamenti indotti dalla paura e la riduzione della vulnerabilità (nevroticismo).
La terapia farmacologica viene invece somministrata solo quando necessario, e ha la funzione di coadiuvare la psicoterapia. Regolando i livelli di ansia, la farmacoterapia consente alla persona di accedere ai contenuti delle sedute e di adoperarsi quotidianamente nella gestione del problema mettendo in pratica le indicazioni del clinico nello spazio tra una seduta e l’altra.
La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
Dopo la valutazione inizia il lavoro terapeutico cognitivo comportamentale che si scandisce in alcuni fasi principali:
-formulazione di un contratto terapeutico che contiene le regole del setting terapeutico e gli obiettivi terapeutici a medio e lungo termini;
-psicoeducazione, consiste nel fornire informazioni cliniche sugli attacchi di panico, sulla loro non pericolosità e sui meccanismi che spesso mantengono e sostengono il disturbo.
-trattamento cognitivo di modificazione delle interpretazioni erronee che portano all’attacco di panico;
-trattamento comportamentale della gestione dei sintomi dell’ansia (mediante insegnamento di tecniche di gestione dell’attacco di panico e tecniche di rilassamento), la riduzione dei comportamenti di evitamento (mediante l’esposizione graduale enterocettiva e in vivo) e la prevenzione delle ricadute;
-trattamento della vulnerabilità sottostante il disturbo;
-programmazione di incontri di sostegno a intervalli di 2-3 mesi per mantenere quanto appreso durante la terapia.
La Farmacoterapia
Nel Disturbo di Panico e nell’Agorafobia l’obbiettivo del trattamento non è semplicemente quello di contrastare i sintomi dell’Attacco di Panico, ma è anche quello di agire sull’ansia anticipatoria e sugli eventuali comportamenti disfunzionali, causa di disagio (ad esempio l’evitamento). Proprio per questo motivo l’uso delle benzodiazepine è consigliato solo durante l’Attacco di Panico e in concomitanza dell’inizio della terapia antidepressiva, ma il trattamento di prima linea è quello con SSRI o Venlafaxina (APA, NICE, CANMAT). In seconda linea, vista la minore tollerabilità, si può ricorrere a un antidepressivo triciclico (TCA), ad esempio la Clomipramina o alla Mirtazapina, un antidepressivo che deve la sua azione ansiolitica al potenziamento serotoninergico e al blocco dei recettori istaminergici H1.
Le persone con Attacchi di Panico sono particolarmente sensibili alle reazioni avverse e proprio per questo motivo solitamente si ricorre a dosi iniziali inferiori rispetto a quelle usate negli altri Disturbi d’Ansia.
Nelle forme resistenti si può aggiungere al trattamento antidepressivo un antipsicotico atipico (Risperidone, Olanzapina, Aripiprazolo) o uno stabilizzante del tono dell’umore (Gabapentin, Acido Valproico).
Riferimenti
Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. DSM-5. APA (2014). Raffaello Cortina Editore.
Trattamento dei disturbi d’ansia. Guide per il clinico e manuale per chi soffre del disturbo. G.Andrews, M.Creamer, R.Crino, C.Hunt, L.Lampe, A.Page (2003). Centro Scientifico Editore.
I protocolli clinici della terapia cognitivo-comportamentale. Carmelo La Mela (2016). Maddali e Bruni.
Letture consigliate
Disturbo di Panico e Agorafobia. Manuale per chi soffre del disturbo. G.Andrews, M. Creamer, R. Crino, C.Hunt, L.Lampe, A.Page. Centro Scientifico Editore (2004)
Il Manuale dell’Ansia e delle Preoccupazioni. La soluzione Cognitivo Comportamentale. D.A.Clark, A.T.Beck. Positive Press (2016)
Attacchi di Panico. Come uscirne. La potenza della Terapia Cognitivo Comportamentale. Enrico Rolla. IW Edizioni (2018)
Panico. Una “bugia” del cervello che può rovinarci la vita. Di Rosario Sorrentino e Cinzia Tani. Edizione Mondadori (2013)
Ansia e attacchi di panico. P. Spagnulo, M. Falcone. Salerno: Editore Ecomind (2001)
Film consigliati
Copycat, 1995– di Jon Amiel
Parole, parole, parole 1997– di Alain Sesnais
Terapie e pallottole, 1999 – di Harold Ramis
Maledetto il giorno che ti ho incontrato, 1992– di Carlo Verdone
Elling, 2001– Peter Naess
Siti Internet consigliati
CETRADA – Centro Trattamento Disturbi d’Ansia: http://www.cetrada.it
ECOMIND – Salute Mentale, Autoaiuto e Sviluppo personale: https://ecomind.online/
LIDAP – Lega Italiana Disturbo attacchi di Panico: http://www.lidap.it