Ansia e disturbi d’ansia: sintomi e cura
Provare ansia è un’esperienza normale e, per certi versi, anche fondamentale per l’essere umano. L’ansia, infatti, ci segnala situazioni impegnative dal punto di vista motivazionale, mantenendo quello stato di vigilanza che ci permette poi di attivare le risorse psico-fisiche necessarie per superare la prova con successo: uno studente affronta l’esame con ansia; un neopatentato alle prime prove su strada solitamente esperisce ansia; cambiamenti esistenziali positivi, come il matrimonio o un trasferimento imminente, suscitano ansia.
È anche vero che l’ansia non è un’emozione gradevole, e nonostante sia un fenomeno fisiologico comune e spesso utile, a volte può assumere una forma eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni che ci si presentano. Quando questo accade siamo probabilmente di fronte a un vero e proprio disturbo d’ansia capace di limitare le nostre attività quotidiane, fino ad impedirci di affrontare le situazioni più semplici.
I disturbi d’ansia differiscono l’uno dall’altro per la tipologia di oggetti o di situazioni che provocano la reazione emotiva e i comportamenti di evitamento, ma anche per il significato (o l’interpretazione) ad essi attribuito da chi ne soffre.
Una doverosa precisazione riguarda la distinzione tra la reazione emotiva di paura e lo stato d’ansia che accomuna questi disturbi.
La paura è intesa come una risposta emotiva ad una minaccia reale imminente. L’ansia è invece definita come risposta emotiva anticipatoria rispetto a minacce future o percepite soggettivamente come tali. In genere ansia e paura possono sovrapporsi ma sono differenti.
Per fare un esempio che aiuti a cogliere la differenza, immaginiamo di immergerci in una vasca d’acqua, e che improvvisamente degli squali di grosse dimensioni inizino a ruotare attorno a noi. E’ questa una situazione di confronto con un pericolo reale, tangibile che susciterà in noi paura prefigurandoci un attacco.
Immaginiamo ora di sedere su un comodo divano di casa nostra, davanti alla televisione e di seguire un film in cui il protagonista, un addestratore, subisce un attacco da parte di alcuni squali durante una delle sue immersioni in vasca. Il film termina e noi andiamo a dormire. L’indomani ci aspetta l’impegno regolare dell’allenamento in piscina, una vasca di grandi dimensioni che per caratteristiche ricorda quella del film. Ansia!
L’evento scatenante viene valutato alla luce di esperienze precedenti, personali o indirette, e secondo il senso comune per quanto attiene al livello di pericolosità associato a tale evento. Questa valutazione è in parte cosciente, ma in parte è guidata in modo automatico da pensieri irrazionali di pericolo.
Possiamo quindi definire l’ansia come un’emozione che si accompagna a uno stato di attivazione dell’organismo in risposta a situazioni del quotidiano che interpretiamo come pericolose!
In verità, molti eventi sfavorevoli della vita che sembrano minacciosi al momento, si rivelano poi benigni. Ma l’ansia troppo grave è debilitante e riduce la capacità della persona di capire, ragionare e agire in modo appropriato. La persona, una volta allertata e “minacciata” decide velocemente che, poiché la minaccia è imprevista e incontrollabile, è anche ingestibile. Unica chance percepita è la fuga (o l’evitamento)!
Nella sezione specifica del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) tra i disturbi d’ansia diagnosticabili troviamo:
Chi ha un disturbo d’ansia non è semplicemente troppo ansioso, ma nutre timori irrazionali che inducono a evitare tutte le situazioni che possono dar adito a quei timori. Per cui, chi fa i conti con un disturbo di panico teme che il panico gli provochi un infarto o lo spinga alla follia; o ancora, chi convive con un disturbo d’ansia generalizzata teme che, nonostante le proprie preoccupazioni, sia imminente una catastrofe.
Chi ha un disturbo d’ansia soffre molto per gli effetti debilitanti del disturbo stesso. Sono disturbi con un andamento frequentemente cronico, se non trattati, che insorgono in persone con una vulnerabilità di base che le rende molto sensibili allo stress.
Nella gran parte dei casi il disturbo pregiudica la capacità lavorativa, le relazioni interpersonali e limita le attività di vita quotidiana. Alcune persone hanno imparato a dipendere da altri o dai farmaci per far fronte alle situazioni difficili.
Compito della psicoterapia è anzitutto quello di aiutare la persona a risolvere questa sintomatologia disabilitante insegnandogli ad essere “terapeuta di se stesso”. Questo implica l’accettare l’idea che in futuro non si dovranno usare farmaci né ricorrere alla protezione di altre persone quando le cose si faranno difficili.
Proprio perché i Disturbi d’Ansia rappresentano condizioni cliniche molto diffuse sono state anche indagate approfonditamente e questo ha portato al proliferare di molteplici protocolli di trattamento nell’ambito dei diversi approcci terapeutici.
Ad oggi, la comunità scientifica indica come più efficaci per il loro trattamento la psicoterapia cognitivo comportamentale e la terapia farmacologica (quando necessario).
Presupposto comune ai diversi modelli di terapia cognitiva è il significato che la persona dà all’ansia e ai sintomi neurovegetativi coi quali essa si esprime, interpretati come pericolosi e segnali di un grave problema fisico (“avrò un infarto o un ictus”) o mentale (“impazzirò”, “perderò il controllo”).
Questa attribuzione di significato è sottesa da un senso di vulnerabilità che spinge la persona a ritenersi esposta a pericoli interni o esterni sui quali non ha controllo. La persona considera come un imperativo il mantenimento del controllo di sé (“Se controllo le mie sensazioni fisiche, i miei pensieri e la mia ansia, non mi capiterà niente”), dei propri pensieri, delle proprie emozioni e comportamenti, e la prospettiva di perderlo è vissuta come una catastrofe.
Il rischio percepito è amplificato dalla disistima delle proprie risorse personali. La persona si concentra sulle proprie debolezze e crede di non avere le abilità necessarie a fronteggiare la minaccia.
La psicoterapia cognitivo comportamentale si focalizza sui processi di valutazione per rendere le minacce comprensibili e gestibili agli occhi delle persone. Ricorre all’impiego di strategie di gestione dell’ansia e di controllo dell’iperventilazione e, in grado minore, adopera tecniche di rilassamento e di meditazione per ridurre lo stato di allerta. Attraverso programmi ben articolati di esposizione graduale aiuta la persona, ormai padrona del suo stato emotivo e dei suoi processi cognitivi, a ridimensionare lo stato di allarme.
La prescrizione dei farmaci solitamente è riservata ai casi di ansia con una intensità moderata-severa.
Tra i farmaci di uso più comune vi sono le benzodiazepine. Queste legano specifici recettori, localizzati in prossimità del recettore GABA A potenziando, in questo modo, l’azione stessa del GABA che è il principale neurotrasmettitore con funzione inibitoria del Sistema Nervoso Centrale. È proprio a questa modulazione allosterica positiva che si devono i loro effetti ansiolitici, ipnotico-sedativi, miorilassanti e anticonvulsivanti, ma anche gli eventi avversi, quali la sedazione e la depressione respiratoria (soprattutto ad alte dosi e in presenza di altre sostanze ad azione sedativa, quali l’alcol).
Indubbiamente le benzodiazepine presentano dei vantaggi, tra cui la rapidità d’azione e la tollerabilità, ma bisogna considerare che agiscono esclusivamente sul sintomo e non sul decorso del Disturbo. Inoltre, il loro uso, soprattutto per periodi prolungati e a dosi elevate, determina l’insorgenza di tolleranza, con conseguente necessità di dosi crescenti di farmaco per ottenere un effetto paragonabile a quello raggiunto in passato. È inoltre possibile la comparsa di sintomi d’astinenza in caso di interruzione o riduzione improvvisa del dosaggio (dolori muscolari, tremori, tachicardia, nausea e vomito, cefalea, ansia, insonnia, agitazione psicomotoria, allucinazioni, convulsioni).
Proprio per questo motivo, il trattamento con benzodiazepine deve essere riservato deve essere condotto solo per un breve arco di tempo (8-12 settimane) e sotto stretta supervisione medica, con l’uso della dose minima efficace e con una successiva, graduale riduzione della posologia.
Tra le benzodiazepine maggiormente utilizzate nel trattamento dei Disturbi d’Ansia vi sono quelle a media-lunga emivita che garantiscono una maggiore copertura e che riducono il rischio di comparsa di sintomi ansiosi tra due dosi successive: Delorazepam, Diazepam, Bromazepam, Alprazolam e Lorazepam.
La classe di farmaci che però permette di migliorare la prognosi e la qualità di vita del paziente, grazie alla remissione dei sintomi e alla riduzione del rischio di ricaduta, è quella degli antidepressivi.
Si ricorre più comunemente agli SSRI (Inibitori della Ricaptazione della Serotonina): Citalopram, Escitalopram, Fluoxetina, Paroxetina, Sertralina e agli SNRI (Inibitori della Ricaptazione della Serotonina e della Noradrenalina): Venlafaxina e Duloxetina.
Questi farmaci aumentano le concentrazioni, a livello sinaptico, di serotonina e di noradrenalina, determinando, dopo 2-3 settimane, un miglioramento dei sintomi psichici e somatici correlati all’ansia e di eventuali sintomi depressivi associati. Nonostante la buona tollerabilità, questi farmaci, soprattutto nelle prime 2 settimane di terapia, possono contribuire ad un incremento dell’ansia, dell’agitazione e dell’insonnia; proprio per questo motivo, nelle fasi iniziali del trattamento, si possono associare le benzodiazepine.
È molto importante avvisare il Medico circa tutte le terapie in atto, visto il rischio di Sindrome Serotoninergica, per interazione con altre sostanze in grado di aumentare i livelli di serotonina (sintomi gastrointestinali, sensazione di calore, sudorazione, alterazioni anche severe del sensorio).
È inoltre necessario concordare una graduale riduzione del trattamento al fine di evitare la Sindrome da Sospensione, caratterizzata da: sintomi simil influenzali, insonnia, irrequietezza, parestesie.