Scritto da:
Dott.ssa Federica Medda
Psichiatra e Psicoterapeuta
Ancora oggi continuano ad esserci molti pregiudizi attorno ai Disturbi Mentali, nonostante l’avanzamento delle conoscenze e la mole di informazioni disponibili.
Le informazioni, nella nostra Società, vengono comunemente veicolate dai mass-media che costituiscono una sorta di osservatorio privilegiato sulla realtà. Il problema è che all’attività divulgativa e all’informazione giornalistica basata sull’evidenza scientifica e sui fatti, si affiancano spesso notizie e dati filtrati da lenti sensazionalistiche che hanno come vero obiettivo quello di attirare l’attenzione, piuttosto che quello di rappresentare la veridicità degli eventi.
La responsabilità della diffusione degli stereotipi e dei pregiudizi però è attribuibile più in generale a fattori culturali (ad esempio a una visione conservativa, autoritaria e non egalitaria, in cui la dominanza del gruppo su coloro che sono considerati diversi è la norma), a fattori personologici (quali la ridotta empatia e la ridotta capacità di confronto) e a esperienze passate (ad esempio a contatti non positivi con persone affette da Disturbi Mentali o con i Servizi di Cura dedicati).
Tra i pregiudizi più diffusi sulla Salute Mentale vi è quello secondo cui le persone affette da Disturbi Mentali sono responsabili della loro stessa sofferenza. Persone deboli che si sono fatte sopraffare dalla loro sensibilità e che non hanno saputo affrontare i comuni problemi della vita. Questa visione è ben lontana da quella di una qualsiasi altra patologia medica, infatti a quanti verrebbe in mente di colpevolizzare una persona con un tumore o un infarto?
Il problema è che i Disturbi Mentali sono spesso ancora considerati come “controllabili” e non si sa invece che si tratta di complesse patologie biopsicosociali, la cui origine deriva dall’interazione di molteplici fattori:
• fattori biologici. Basti pensare al ruolo svolto dalla genetica, dimostrato dalla frequente familiarità e dal riscontro di specifiche, per quanto non patognomoniche, alterazioni nel DNA; inoltre nei diversi Disturbi si riscontrano alterazioni anatomiche e funzionali, come evidenziato dagli studi di neuroimaging (TC, RM, PET), anomalie dell’attività elettrica cerebrale (EEG) e alterazioni neurotrasmettitoriali;
• fattori psicologici. Sono importanti ad esempio le caratteristiche di personalità, i meccanismi di coping (le strategie abituali con cui quell’individuo affronta gli eventi stressanti), il livello di autostima;
• fattori sociali. Sono inoltre fondamentali i fattori di stress e i fattori protettivi presenti a livello ambientale (ad esempio in ambito familiare, amicale, lavorativo, nel tempo libero).
Il modello biopsicosociale teorizza che nessuno di questi fattori da solo sia sufficiente a generare il Disturbo, ma dalla loro interazione può svilupparsi uno stato di vulnerabilità (per via di fattori biologici e ambientali che agiscono sin dalla gravidanza) che eventualmente può evolvere in un Disturbo Mentale.
Un falso mito, in parte correlato al precedente, è quello della incurabilità. Se infatti i Disturbi Mentali vengono considerati come il prodotto di una volontà deficitaria difficilmente si potrà pensare a una possibilità di cura. E invece, ad oggi, abbiamo a disposizione molteplici strategie per affrontare le patologie psichiche: diversi approcci psicoterapeutici, molti farmaci, alcune terapie fisiche e interventi riabilitativi individualizzati. Questi trattamenti possono essere usati da soli o in associazione, con la possibilità in quest’ultimo caso di avere tassi di risposta maggiori, grazie ad un effetto additivo o sinergico.
Inoltre, anche attraverso gli interventi di riabilitazione psicosociale si mira, non solo alla risposta e remissione clinica (cioè alla risoluzione sintomatologica), ma alla recovery, cioè al potenziamento delle risorse dell’individuo, al fine di aumentarne l’autoefficacia e la capacità di integrazione sociale, con il recupero di un ruolo attivo e un miglioramento della qualità di vita.
Inoltre, nonostante negli ultimi 25 anni sia migliorata la conoscenza da parte della popolazione generale sulla farmacoterapia di questi Disturbi, vi è ancora l’idea che gli psicofarmaci abbiano una scarsa efficacia e che diano dipendenza. Gli studi però mostrano, ad esempio, che l’efficacia degli antidepressivi nella Depressione Maggiore e degli antipsicotici nella Schizofrenia è superiore a quella di altri farmaci di uso comune, come le statine usate per l’ipercolesterolemia e gli anticolinergici usati nell’ipertrofia prostatica ed è paragonabile a quella degli antipertensivi.
Inoltre la maggior parte dei farmaci psichiatrici non danno dipendenza. L’eccezione principale è rappresentata dalle benzodiazepine. Anche in questo caso, però, si possono adottare una serie di strategie volte a ridurre il rischio e si può comunque contare su terapie alternative.
Un altro pregiudizio profondamente radicato nella nostra Società è quello della pericolosità della persona affetta da un Disturbo Mentale. Il riferimento alla pericolosità sociale era presente nella Legge manicomiale del 1904 che sanciva un ruolo di controllo da parte della Psichiatria e che vedeva nei manicomi la sede privilegiata di “cura” dei malati. Da allora si sono fatti molti passi in avanti, basti pensare alla deistituzionalizzazione e ai nuovi orizzonti di cura e riabilitazione che si sono aperti con la Legge 180 del 1978 (nota come Legge Basaglia), nella quale il concetto di pericolosità non trova più spazio. Nonostante questo è comune trovare nei giornali titoli che attribuiscono alla “follia”, a un “raptus”, a un “momento di pazzia” crimini efferati, il tutto senza una definita base forense. In questo modo nel lettore si crea un’associazione immediata tra pericolo e Disturbo Mentale. In realtà, nella maggior parte dei casi i pazienti sono vittima (7-56%) e non autori di reato. Infatti il rischio di comportamenti violenti è paragonabile a quello della popolazione generale per la maggior parte delle persone con un Disturbo Mentale stabile.
I fattori più frequentemente associati ai comportamenti violenti invece sono altri: ad esempio, l’avere un concomitante Disturbo da Uso di Sostanze, l’aver subito traumi ed essere stato vittima di violenza, lo scarso supporto familiare e sociale.
Non dimentichiamo inoltre che la persona con un Disturbo Mentale può essere più che altro pericolosa per sé stessa: infatti il 90% dei suicidi riguarda questi pazienti, soprattutto coloro con Disturbo dell’Umore o Schizofrenia.
Infine il paziente è frequentemente considerato come improduttivo e incapace di svolgere un ruolo attivo all’interno della società. Questo anche a causa della tendenza a nascondere la patologia psichica, cosicché si nota solo la difficoltà delle persone affette dalle forme più severe di malattia. In realtà, nella maggior parte dei Disturbi, con le cure adeguate ed eventualmente con un percorso riabilitativo, la persona può conservare o recuperare la propria funzione sociale, ma questo a patto che ci sia una società davvero preparata e disponibile all’integrazione.
In ultima analisi, negli ultimi anni si parla maggiormente di Salute Mentale, ma affinché questo parlare diventi davvero costruttivo è necessario selezionare le fonti di informazione e sviluppare una buona capacità di osservazione e di critica.
È indispensabile fermarsi a pensare a quanto i pregiudizi possano essere dannosi e a quanto, invece, possa essere d’aiuto un atteggiamento aperto e disponibile al confronto. Infatti, aldilà delle Politiche Sanitarie, bisogna ricordare che ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare molto.
Riferimenti
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